Il settore Doni preziosi di questo Blog è inaugurato nel modo migliore, dal contributo prezioso e stimolante di un amico arguto, a cui mi lega il piacere di leggere la complessità anche attraverso l’uso di una sottile ironia.
Caro Michele,
vorrei esprimere un parere strettamente personale sulla “memoria”, con una doverosa premessa: non sono, come nessun essere in grado di intendere e di volere, negazionista. Ho fatto un pellegrinaggio ad Aushwiitz e, come a tutti, mi sono rimasti dentro per sempre quei muri esterni così puliti da sembrare irreali, quegli oggetti accatastati, quel silenzio di mille visitatori impietriti, quei cameroni dove i legni parlano ancora di sofferenza, quegli enormi spazi chiusi progettati per estinguere un popolo, quel meschino briciolo di giustizia terrena rappresentato dalla forca innalzata in prossimità dei forni per giustiziare, immediatamente dopo la liberazione, il capo del campo.
Quanto scrivi è ovviamente ineccepibile ed in merito allo sterminio degli ebrei credo si sia tutti consapevoli che si tratti del più grande dramma della storia recente.
Non sono invece convinto che quanto ci è raccontato sugli eventi bellici e post bellici della nostra nazione ci sia trasmesso con i crismi che la asetticità della storia impone. Forse si tratta di eventi troppo vicini alla memoria trasmessa per poterne dare un giudizio sereno. E’ evidente che l’origine famigliare (io provengo dall’ambiente agricolo) condizioni la lettura dei fatti, ma sostengo che almeno la realtà oggettiva possa essere accettata da tutti: chi era stato mandato in Russia o in Africa sicuramente non aveva potuto fare scelte patriottiche di fuga sui monti, anzi scelte prorio non ne aveva potuto fare, era stato preso, non eccezionalmente con la forza e mandato ad affrontare un possibile suicidio collettivo. I reduci sono ormai in via naturale di estinzione, ma sicuramente se i pochi rimasti fossero intervistati, racconterebbero di tribolazioni vicine o peggiori di quelle subite nei campi di concentramento (dalla Russia sono tornati circa in un quinto e la maggior parte dei deceduti è morta per assideramento). Queste auspicate interviste non sono realizzate molto di frequente quasi che trattassero il tema di morti scomodi. Da bambino, sono del ’47, sentivo parlare esclusivamente di guerra nelle lunghe notti di chiacchiere invernali, lunghe con i miei occhi, forse semplicemente perché iniziavano all’imbrunire quando il lavoro dei campi era scarso e veniva buio presto. Allora era abitudine trovarsi a casa propria o dei vicini per stare insieme e, contrariamente ad oggi, almeno nell’ambiente agricolo, era consueto che i bambini partecipassero a questi momenti conviviali. Nessuno preferiva il gioco all’ascolto di queste storie che ai nostri occhi erano più fantastiche che reali. Mio padre aveva fatto la guerra d’Africa e ovviamente quello era il suo tema, ma si spaziava sull’intero conflitto mondiale con reduci di Russia e Grecia, fino ad arrivare a ricordare le efferatezze di tutte le parti in conflitto dopo lo sbandamento dell’8 settembre. Oggi la memoria penso che sia quasi unilaterale e non so quanto possa aver giovato nel dopoguerra alla riappacificazione degli animi di una popolazione che ha vissuto, con maggior ferocia in certe zone, una vera e propria guerra civile con soprusi e vendette di tutte le parti. Basta pensare in merito allo scandalo prodotto da qualche libro recente, quello di Panza fra i primi (forse perché scrittore più noto e nella sua notorietà più credibile) che ha tentato di raccontare quanto accaduto non unilateralmente.
Inoltre non sono assolutamente convinto che questo rinverdimento di memoria possa giovare al rimarginarsi delle profonde piaghe che hanno colpito la nostra società.
Se mai si riuscisse ad instaurare una condizione di pace militare e politica duratura fra israeliani e palestinesi, non credo che il rinvangare con mille messaggi i conflitti e i soprusi accaduti di recente da entrambe le parti, riuscirebbe a favorire la coesistenza di popolazioni comunque destinate a convivere negli stessi territori. Un’operazione mediatica di affievolimento della memoria, coordinata da entrambe le parti fino a quando i fatti possano essere trattati storicamente e non in prima persona, potrebbe aiutare la reciproca integrazione.
Sulle grandi calamità, quali i genocidi, poi la storia ci ha trasmesso che la memoria non è mai stata utile ad evitarli: non lo è stata nella Russia del primo dopoguerra (con dati numerici paurosi ed ancora non certi) e non lo è stata neppure nell’Africa recente dove i genocidi hanno avuto minor consistenza numerica solo perché interessavano popolazioni numericamente inferiori, ma hanno prodotto gli stessi effetti, lo sterminio di intere etnie. Ancor più sconvolgenti sono le motivazioni che hanno generato questi orrori, sempre le stesse e sempre celate in ugual modo, la sete di potere nascosta da motivi religiosi.
Sì dunque al non dimenticare, ma a un non dimenticare corretto, senza comunque dare troppo peso alla speranza che possa favorire l’estinzione dei recenti disastri di cui siamo giunti a conoscenza quasi in prima persona.
Il non dimenticare lo concentrerei maggiormente sulle cause generatrici degli orrori che credo abbiano motivazioni comuni: malessere sociale diffuso, alimentazione del malessere attraverso il sostegno di frange estremiste, corruzione capillare, perdita di democrazia. Il mantenimento del benessere sociale e il diffondersi della cultura e della capacità critica di una popolazione sono per lo scrivente il miglior antidoto all’innescarsi di conflitti bellici.
Morello Pecorari
Silvia Pina
gennaio 31, 2013
Più che parlar di “cura” direi si possa parlare di utopia. Come giustamente hai scritto, la storia e il ricordo degli eventi, non ha mai impedito il loro ripetersi nel corso degli anni e in ogni parte del mondo. Tu hai citato l’Africa e la Russia, a proposito di genocidi; io aggiungo l’Armenia, la Iugoslavia, la Cambogia di PolPot, il Vietnam degli americani, la Cina di Mao, i Curdi sterminati da Saddam, Bocassa, Stalin etc.. Addirittura in questi casi nemmeno “il giorno della memoria” sprona a ricordare,semmai esista. Dunque la storia non è di servizio alla saggezza dei popoli nel loro insieme, non rientra nelle strategie di potere, ma nelle coscienze degli individui secondo me si. Nei singoli individui la “memoria” ha costruito, ha insegnato, ha forgiato, ha trasformato pensieri e azioni, influenzando le opinioni e il modo di guardare avanti. Non so se riesco a spiegarmi bene, non ho la tua capacità di chiarezza nè la tua lucidità di esprimere concetti precisi. La memoria è giusta e doverosa quando costruisce, quando propone, quando coinvolge; se diventa l’etichetta che battezza una giornata piena di retorica, non ha senso.
Un esempio giusto per dirne uno a caso. Recentemente in Russia, Putin ha proibito che si parli di gay, che si riuniscano, che si manifestino liberamente nella società. Eppure erano con gli americani ad aprire i cancelli dei lagher nel ’45, liberando ebrei sì, ma anche omosessuali.
La memoria è dentro le persone io credo ma, ed è un mistero, si perde quando le persone diventano un gruppo, una città, un popolo alla ricerca di un leader.
Bacioni
Silvia