L’atteggiamento in generale meno produttivo che si può assumere è l’introflessione.
Secondo l’Enciclopeida Treccani introflessione ovvero “ripiegamento in dentro“, ha come sinonimo “invaginazione“.
Nel ripiegarsi in dentro l’orizzonte si chiude, seppur possa rassicurare ritrovarsi in spazi piccolo e conosciuti, certamente famigliari.
Molto significante il sinonimo della Treccani.
Certo, a tutti è capitato, in qualche occasione, di desiderare di ri-tornare nell’utero materno, per poter galleggiare nel rassicurante liquido amiotico che ci ha visto minuscolo ovulo in crescita.
Effetto di introflettersi è dunque galleggiare.
Ma galleggiare non basta. Non è movimento verso una direzione voluta. Chi galleggia si affida alle correnti, attende, si muove lo stretto necessario per non affondare.
Si galleggia per studiare una situazione o una persona (un qualcosa d’altro da noi) che non ci convince per qualche motivo (che magari riguarda noi, ma che l’altro da noi ha la colpa di mostracene il riflesso). Poi però si deve decidere: ci si avvicina o ci si allontana o si allontana quell’altro da noi.
Continuare a galleggiare è non decidere, quindi non ritenere importante una decisione, e dunque non importante la situazione o la persona che si lascia alla deriva.
Chi tende a “ripegarsi in dentro” tende a galleggiare.
Il proprio ombelico è sempre rassicurante!
Non decidere e lasciarsi cullare dalle correnti è pure piacevole!
Mi è capitato in questi giorni di farlo notare a un caro amico che tende a galleggiare e all’introflessione. Riducendo così le indubbie doti che possiede, anziché amplificarle con un bel respiro di fiducia.
Riflettendo con l’amico mi accorgo, tuttavia, che non è certo lui una mosca bianca. L’introflessione e il galleggiamento stanno diventando frequenti atteggiamenti generali.
La sempre più opprimente deriva che differenzia gli “italiani” (qualcuno prima o poi mi spiegherà le caratteristiche) da gli “altri”, non è un’introflessione ?
E le navi lasciate a “galleggiare” nel mar mediterraneo, non ne è la drammatica e tragica espressione ?
Mi tornano alla mente le parole usate dall’Ulisse di Dante per incitare i suoi uomini, ormai vecchi e stanchi di navigare, a superare i propri limiti, ad uscire dal familiare orizzonte, e ad andare aldilà delle Colonne d’Ercole (“retro al sol“, l’attuale Stretto di Gibilterra):
“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, vv 112-120.
Vien dunque da riflettere, e sarebbe utile farlo tutti insieme:
ma in questo momento storico, stiamo davvero considerando la nostra “semenza“? Che non siamo fatti “a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza“?

Posted on luglio 14, 2018
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