Ieri la Nazionale di calcio italiana – l’unica ITALIA che conoscono per molti – si è fatta escludere dal prossimo Campionato del mondo di calcio.
Un’enormità anche per uno come me che il calcio lo segue davvero molto poco, disaffezionato del tutto, anche di recente, da esperienze che mi hanno confermato la grave ed endemica malattia che avvelena in Italia quello che, a ragione, è definito “lo sport più bello del mondo”, senza dubbio il più popolare. L’entusiasmo che si legge nei bambini più piccoli quando iniziano a “calciare” il pallone è la più definitiva conferma di questa definizione.
Non ci sto a provare dispiacere per i calciatori, per l’allenatore e per i dirigenti della “nostra” Federazione, complici di un sistema infetto.
Non ci sto a sentirmi “fallito anche a livello sociale” come dice “in lacrime” Buffon, che lui, insieme a tutti gli altri calciatori dalla cappiglaitura scolpita e dai fisici statuari opportunamente tatuati, fallito dal punto di vista economico non è certo.
Non ci sto a sentirmi loro complice.
Io sto con l’entusiamo di quel bimbo che calcia il pallone di cui ho detto sopra.
Io sto con le squadrette di calcio che fanno di tutto per consentire un’alternativa alla strada per i tanti ragazzi che alternative non hanno.
Io sto con chi soffre e suda veramente, ogni giorno, per uno stipendio a volte neppure dignitoso, e chiede soltanto di pptersi divertire e distrarre per i 90 minuti di una partita di calcio e di essere orgoglioso della propria squadra di calcio. Nei miei occhi c’è l’immagine di una Nazione orgogliosa impersonata dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini (Spagna 1982).
L’enormità del fallimento della Nazionale temo che sia lo specchio di una società a cui non piace faticare, che trova sempre l’alibi della colpa di un altro (anche se assente), dimenticando che la responsabilità spesso è individuale, anche di non far squadra.
Chissà che aver toccato il fondo possa dare una scossa a questa nostra Italia, e tornerà a crescere tanti Nino della canzone di De Gregori.
Sole sul tetto dei palazzi in costruzione
Sole che batte sul campo di pallone
E terra e polvere che tira vento
E poi magari piove
Nino cammina che sembra un uomo
Con le scarpette di gomma dura
Dodici anni e il cuore pieno di paura.
Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore
Non è mica da questi particolari
Che si giudica un giocatore
Un giocatore lo vedi dal coraggio
Dall’altruismo e dalla fantasia.
E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai
Di giocatori tristi che non hanno vinto mai
Ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro
E adesso ridono dentro al bar
E sono innamorati da dieci anni
Con una donna che non hanno amato mai
Chissà quanti ne hai veduti
Chissà quanti ne vedrai.
Nino capì fin dal primo momento
L’allenatore sembrava contento
E allora mise il cuore dentro le scarpe
E corse più veloce del vento
Prese un pallone che sembrava stregato
Accanto al piede rimaneva incollato
Entrò nell’area tirò senza guardare
Ed il portiere lo fece passare
Ma Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore
Non è mica da questi particolari
Che si giudica un giocatore
Un giocatore lo vedi dal coraggio
Dall’altruismo e dalla fantasia.
Il ragazzo si farà
Anche se ha le spalle strette
Quest’altr’anno giocherà
Con la maglia numero 7
La leva calcistica della classe ’68 – Francesco De Gregori (1982)
Posted on novembre 14, 2017
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