Sindrome di Kurtz. La penna arguta e pungente di Severgnini descrive con precisione e nel dettaglio la pericolosa sindrome che porta a dissociarsi dalla realtà. Colpevole anche chi favorisce tale dissociazione, ovattando e consentendo la costruzione di un mondo fittizo, retto da regole strampalate e maleducate che non avrebbero asilo in alcun altro contesto. Una deviazione comunitaria, che regge due rappresentazioni della stessa realtà: quella ad uso e consumo esterno – democratica, pacifica, corale… “splendida”; e quella interna molto meno splendente, spesso bipolare, sempre in slalom tra alti e bassi, farcita di parole rimangiate, di doppie morali e di doppi pesi e misure, di attenzioni acute e di disattenzioni di deliberata cronicità.
Una sindrome che di certo ha aspetti utilitaristici, ma che nel profondo nasconde la paura di assumersi le proprie responsabilità.
Quante persone in preda alla Sindrome di Kurtz conosciamo ?
Anche in questo il signor B. è purtroppo il riflesso di un male comune.
BERLUSCONI come Kurtz,
Tra CONRAD e «APOCALIPSE NOW»
«Cuore di tenebra», il potere senza eredi.
Non c’è spazio per il pensiero critico nel campo del Colonnello -Cavaliere. Solo per devozione, obbedienza, riconoscenza
Nel racconto Cuore di tenebra di Joseph Conrad, Kurtz è un mercante d’avorio, inviato in Africa da una società belga: potente e spietato, si ritira gradualmente dalla civiltà, circondato dagli indigeni che lo adorano e lo considerano un semidio. Nel film Apocalypse Now l’azione si sposta nella giungla del Sud-est asiatico, durante la guerra del Vietnam: l’inquietante Colonnello Kurtz, interpretato da Marlon Brando, si rifugia nella parte remota di un fiume e diventa un rinnegato. C’è perfino un videogioco ( Spec Ops: the Line ), ambientato in una spettrale Dubai. Gli autori, riconoscendo il debito, hanno chiamato il protagonista Colonel John Conrad.Kurtz non è solo un personaggio letterario. È una tentazione perenne del potere. L’isolamento, la scelta di non misurarsi col mondo, il disinteresse per il futuro, la convinzione di costituire l’inizio e la fine. Denaro e carisma creano e mantengono una corte di adoratori e adulatori, disposti a rinunciare alla propria autonomia in cambio di incarichi, benefici e prossimità al capo. Sanno che criticarlo è impossibile: sarebbero disprezzati ed estromessi.
Non è Kurtz, Silvio Berlusconi: non ancora. Ma l’incapacità di organizzare una successione è diventata inquietante. Gli eredi politici vengono illusi e liquidati uno a uno, appena manifestano segni di indipendenza. Sul Corriere di ieri Pigi Battista ha abbozzato un elenco: Antonio Martino, Marcello Pera, Pierferdinando Casini, Giulio Tremonti, Roberto Formigoni, Gianfranco Fini, ora Angelino Alfano. Ormai è chiaro. Non c’è spazio per il pensiero critico, nell’accampamento del Colonnello-Cavaliere. Solo per devozione, obbedienza, riconoscenza.
È un problema che ogni leader politico dovrebbe porsi, ma raramente avviene. Personalità, fascino e consapevolezza di sé – diciamo pure egocentrismo – sono necessari per sfondare. Sono le qualità che l’elettorato moderno chiede, non solo in Italia. Ma questi stessi elementi rendono difficile la successione: il leader carismatico vede l’erede come la prova della propria mortalità politica, e finisce per detestarlo. Lui o lei – pensate a Margaret Thatcher – si considera la misura di tutte le cose, e ci sarà sempre qualcuno, intorno, pronto ad assecondarlo. Per interesse, per debolezza, per gratitudine, per una combinazione di questi motivi. La deriva conradiana non è un rischio limitato alla politica. In Italia Kurtz si nasconde nell’università e nell’industria, nella grande distribuzione e nella finanza, perfino nello sport e nel volontariato. Ma nella politica il fenomeno è particolarmente evidente e grave. Perché non c’è solo Berlusconi, e non c’è solo la destra.
Kurtz, da noi, non è solo un colonnello, bensì un maggiore, un capitano, un ufficiale di complemento: pensate a Marco Pannella, ad Antonio Di Pietro, a Umberto Bossi e al loro tramonto solitario. Pensate a Nichi Vendola, agli incarichi che accumula e agli errori che commette. Pensate a Mario Monti e al capitale politico che sta sprecando. Pensate a Beppe Grillo, autodefinitosi furbescamente «il portavoce» del movimento, quando ne è il padre-padrone, come dimostrano i recenti interventi in materia di cittadinanza e legge elettorale. Il M5S, senza di lui, non sarebbe nato; e tutto lascia credere che a lui non sopravviverà. È uno spettacolo collettivo che Matteo Renzi – instancabile, carismatico, ambizioso – deve osservare con attenzione. L’Arno non è il Mekong né il fiume Congo, e lui non deve cadere nella trappola di Kurtz.
Perché il giudizio su un leader si misura anche – anzi, soprattutto – sulla sua generosità: su quanto è capace di costruire e lasciare dopo di sé. L’Italia ha bisogno di una destra moderna, democratica ed europea: ne ha bisogno anche chi non la voterà mai. Una formazione politica che non dipenda dai destini, dagli umori e dalla risorse di un uomo solo. Silvio Berlusconi non ha il diritto di pensarci: ne ha il dovere. «Dopo di me, il diluvio!» è un pessimo motto. Dopo di sé meglio una pioggia leggera, poi nuovi fiori.
Beppe Severgnini, Corriere.it, 18.11.2013

Posted on novembre 19, 2013
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