La mia cara cuginella, composizione del cuore delle parole cugina-sorella, dona al blog questa sentita riflessione sull’unica autentica strada per l’integrazione. Tutto il resto è razzismo latente o evidente, al dritto o a rovescio, e anche, a volte, mascherato da iniziative folkloristiche che non colgono il cuore (quello rosso che pulsa!) del processo virtuoso.
Mio figlio è un po’ africano, non d’aspetto, anzi a vederlo al limite può essere più nordico per la pelle chiara e i colori del volto. Aveva quattro mesi quando lo portai in Africa, nell’Africa nera.
Come tutti i bambini di quell’età aveva bisogno spesso del pediatra e come tutti i bambini di madre ansiosa il pediatra era fondamentale, il pediatra di mio figlio era la dottoressa Pelham nera come l’abisso, nerissima. La dottoressa Pelham viveva in Zambia anzi, vive in Zambia con cinque figli e un marito avvocato a Londra e quando io le chiesi il motivo del suo rimanere in un paese così difficile lei, quasi stupita della mia domanda, mi rispose: perché qui c’è bisogno di me. In effetti lavorava moltissimo, abitava nella nostra stessa strada, più in fondo, in una zona di confine, oltre il quartiere residenziale degli europei, in una dignitosissima casa africana di ceto altolocato africano. Bè lei guadagnava in valuta locale, dunque il suo stato era comunque lontano dal nostro e si prendeva cura dei nostri fortunatissimi figli bianchi con grande dedizione e professionalità.
Mio figlio è stato curato da lei più volte e forse anche salvato da una febbre alta che non voleva scendere, febbre causata da un’infezione intestinale. Si occupava di seguirlo anche per le normali vaccinazioni, anzi una volta mi riprese duramente perché non avevo fatto fare la vaccinazione per il morbillo al figlio bianco; “ma si rende conto del rischio? Qui il morbillo è endemico”. Insomma ero la perfetta ansiosa che si perdeva in banalità e tralasciava pericoli reali, e la nerissima dottoressa Pelham si prendeva cura di noi. Da madre bianca fortunata non esitavo a chiamare il pediatra in Italia il quale puntualmente mi rassicurava circa le cure della collega nerissima. Insomma la Pelham ci beccava proprio, usava metodi e farmaci come il nostro dottore bianco.
Un giorno parlando con un cuoco nero che lamentava un continuo mal di stomaco gli consigliai di andare a farsi visitare nella clinica dove lavorava la nostra pediatra e lui con uno sguardo sufficientemente distante, altero e incredulo mi disse che i medici e le medicine andavano bene per noi, non per lui. In quel noi stava tutto la sua distanza e tutta a sua intolleranza per il nostro stato, per la nostra cultura, la nostra fiducia nella scienza, la nostra pelle. Per loro, i neri, ci voleva lo stregone, lui si che capiva i loro problemi, sì i rimedi degli stregoni sono ancora tanto ascoltati nell’africa nera.
Stasera per radio ho sentito un politico intervistato che non so chi sia e non lo voglio sapere che diceva, a proposito di Cecile Kyenge, nuovo ministro, che insomma non andava bene e allora il giornalista gli ha chiesto il motivo per cui non andava bene e lui ha sommariamente risposto “perché è nera e non può essere come noi, non ha capacità come le nostre, chissà come è arrivata qui” li per li mi sono indignata perché io ho ripensato alla dottoressa Pelham e al cuoco che anche lui pensa che bianchi e neri abbiamo organi che funzionano diversamente, poi il ricordo di questi due – uno che fa il politico in Italia e l’altro che fa il cuoco in Africa e pensano che funzioniamo diversamente mi ha fatto sorridere.
Io Cecile Kyenge l’ho conosciuta l’anno scorso perché invitata da un mio amico nero che fa il giornalista e organizza un festival che si chiama Ottobre Aficano. Il mio figlio bianco ha fotografato Cecile Kyenge perché oltre ad essere il fotografo della manifestazione si trovava proprio bene con gli africani, si sentiva come a casa. Parlava, parlava, discuteva, insomma un giorno gli ho chiesto come mai si era preso tanto a cuore le storie degli africani e lui mi ha risposto “ma mamma io sono un po’ africano, io li capisco quando fanno le battute, quando scherzano, io li capisco i pensieri degli africani“. Con semplicità il figlio africano mi stava dando una lezione di cittadinanza ed equità, nella sua memoria ci sono le braccia e il volto della dottoressa Pelham, ci sono i suoni e i colori dell’africa, la terra rossa sotto i suoi primi passi. Così ho pensato che solo nella condivisione di gioie e frustrazioni, solo le partite giocate nel cortile della scuola con compagni con la pelle diversa, solo la partecipazione del quotidiano non ci faranno più pensare che gli organi ed i sentimenti delle persone con la pelle di altro colore sono differenti dai nostri.


Posted on Maggio 2, 2013
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