Il limite di prospettiva di una condivisione mortale !

Posted on aprile 18, 2013

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Abbiamo avuto Presidenti della Repubblica eletti sotto le bombe, di matrice apparentemente mafiosa.

Abbiamo avuto, però, anche Presidenti della Repubblica che hanno saputo coagulare su di sè una grandi maggioranze, per il loro indiscusso profilo.

La scelta di candidare l’ex senatore Franco Marini nasce davvero e soltanto dall’incrocio di veti. Ed è proprio questo metodo (e non la persona!) che manifesta gli imbarazzanti limiti di veduta di una classe politica, totalmente concentrata al mantenimento dello status quo. Che soprattutto non comprende che così si compie o, peggio ancora, riconosce la parificazione tra forze di destra e di sinistra.

Si era chiesto da questo povero blog un colpo d’ala, uno sforzo di fantasia, una visione più ampia e più prospettica, almeno nella scelta del Presidente della Repubblica, che è scelta di sette anni.

Ad oggi nulla di tutto questo c’è stato, e temo che alla fine non ci sarà.

Avremo un Presidente della Repubblica che è un galantuomo di alto profilo, ma che è stato eletto divaricando le strade della politica (p minuscola) con quelli della Polis (P maiuscola). Non escludo affatto che sia l’uomo giusto per far riconvergere questi due elementi, ma la strada sarà anche per lui molto in salita.

Di questo risultato non credo che Grillo e il suo Movimento 5 Stelle, veri e unici artefici di questo pessimo risultato, potranno essere orgogliosi, anche se non sono affatto sicuro che comunque ne gioveranno.

Qui di seguito l’editoriale di Massimo Franco, pubblicato oggi sul Corriere on line.

IL QUIRINALE

A  parti  rovesciate

Marini è uomo sperimentato e rispettato, ma la condivisione potrebbe diventare un limite in prospettiva

Se davvero si tratta di un’elezione giocata sui veti incrociati, non deve sorprendere che possa diventare capo dello Stato chi riuscirà a collezionarne di meno. D’altronde, mettere d’accordo nelle condizioni attuali Pd, Pdl, montiani, senza perdere per strada altri spezzoni del Parlamento, appare più difficile che far quadrare un cerchio. L’ipotesi che a compiere il miracolo sia Franco Marini, ex presidente del Senato ed ex segretario del Partito popolare dopo una lunga militanza da leader della Cisl, è plausibile.  Plausibile, ma non sicura. Le tensioni che si avvertono soprattutto nel Pd, del quale pure Marini è un dirigente, non vanno sottovalutate: tanto più mentre il Pdl sembra sostenerlo in modo granitico.

È un rovesciamento delle parti che aumenta le incognite. Marini sarebbe l’elemento di equilibrio e l’estrema trincea di un sistema che si sente minacciato; e che dalle elezioni di febbraio ha incassato con fastidio crescente le provocazioni, le minacce e i rifiuti sprezzanti dell’ex comico Beppe Grillo, teorico dello scardinamento delle istituzioni dopo il grande successo ottenuto nelle urne. Il fatto che il candidato al Quirinale non sia entrato in Parlamento è un altro paradosso: finisce per apparire la conseguenza di una legge elettorale che dà frutti amari, quasi surreali; e che proprio la classe politica non ha voluto cambiare.

La scelta di un uomo sperimentato e rispettato, capace di conciliare l’inconciliabile, non cancellerebbe queste ambiguità. D’altronde, la situazione economica e sociale non consente uno scontro infinito ed esige un governo in tempi rapidi. Al fondo, si coglie l’istinto di sopravvivenza di partiti corrosi da potenti forze centrifughe e sfibrati da una lunga e sterile contrapposizione; e determinati a trovare una soluzione di compromesso, con lo sguardo concentrato sull’Italia più che sull’Europa. Anche sotto questo aspetto, la scelta di Marini suonerebbe come la rivendicazione orgogliosa di un’autonomia declinata in sottile polemica con le istituzioni continentali e col governo dei tecnici di Mario Monti. Si avverte una certa ansia di chiudere quel capitolo, e forse di archiviarlo.

Ma le elezioni di febbraio non hanno restituito legittimità alla politica: semmai gliene hanno tolta ancora. E l’idea di usare il Quirinale per blindare lo status quo potrebbe rivelarsi un’illusione. Certo, se le dinamiche che si sono messe in moto porteranno realmente a un candidato il più possibile condiviso, sarebbe un passo avanti. E se aiuteranno a creare una qualche maggioranza parlamentare, quella sfuggita a Pier Luigi Bersani per i veti di Grillo e l’ostinazione a non riconoscere una vittoria a metà, sarebbe un altro progresso. L’unica perplessità è di sistema. Il sospetto da dissipare è che la presidenza della Repubblica possa diventare la camera di compensazione delle rese dei conti nei partiti.

In questo caso, la condivisione diventerebbe non un bene prezioso, ma un limite, destinato a emergere molto presto e a pesare molto a lungo.

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